Alzi la mano chi almeno una volta ha ricevuto quella chiamata o quel messaggio WhatsApp dal proprio datore di lavoro mentre era a casa in malattia: “Ma cosa hai esattamente? Qual è il problema?”. Ecco, preparatevi a scoprire che quella domanda apparentemente innocua è in realtà completamente fuori luogo. E no, non siete paranoici: avete davvero il diritto di non rispondere e di tutelare i vostri dati sanitari senza dover fornire spiegazioni sulla vostra diagnosi.
Quando vi sentite male e andate dal medico, questo compila un certificato di malattia che non finisce indistintamente nelle mani di tutti. Il documento si divide sostanzialmente in due versioni con contenuti completamente diversi, e capire questa distinzione è fondamentale per proteggere la vostra privacy sul lavoro. La prima copia è quella che ricevete voi personalmente, con la vostra diagnosi completa specificata chiaramente, che si tratti di lombosciatalgia, emicrania, febbre o qualsiasi altra condizione medica. La seconda copia viene trasmessa telematicamente direttamente all’INPS, anche qui con tutti i dettagli clinici perché l’ente previdenziale deve valutare la legittimità della vostra assenza.
Certificato di malattia: cosa vede il datore di lavoro
Qui arriva il punto cruciale che molti lavoratori ignorano completamente. La versione del certificato che può consultare il vostro datore di lavoro è volutamente generica e priva di dettagli medici specifici. Il capo può vedere che siete in malattia e conoscere la prognosi, ossia per quanti giorni sarete assenti dal lavoro. Stop. Niente diagnosi, niente patologia, niente dettagli clinici. Questo non è un caso né una svista burocratica: è una scelta precisa e deliberata del nostro ordinamento giuridico per tutelare i dati sanitari dei lavoratori, che sono considerati informazioni sensibilissime.
Nel nostro sistema legale, i dati sanitari godono di una protezione rafforzata, quella che tecnicamente viene definita “super tutela”. Sia la Corte di Cassazione che il Garante della Privacy hanno ribadito in molteplici occasioni che i certificati medici destinati ai datori di lavoro devono contenere esclusivamente elementi generali. Questo significa che sul certificato visionabile dall’azienda non devono comparire informazioni che potrebbero rivelare indirettamente la vostra condizione di salute: niente nome della struttura sanitaria specifica, niente indicazione del reparto ospedaliero, niente specializzazione del medico curante e tantomeno il tipo di esame diagnostico eventualmente effettuato.
Richiesta diagnosi da parte del datore di lavoro: come comportarsi
Torniamo quindi alla situazione iniziale: ricevete quella chiamata o quel messaggio in cui il datore di lavoro vi chiede espressamente quale sia la vostra patologia. Ora sapete che questa richiesta è illegittima, punto e basta. Non è una questione di buone maniere o di rapporti cordiali: è una violazione delle normative sulla privacy. La risposta corretta a questa domanda è semplicemente non rispondere, o al massimo ricordare educatamente che tali informazioni sono riservate e non devono essere comunicate.
C’è un’altra cosa assolutamente fondamentale da tenere a mente: non inviate mai, per nessun motivo, la vostra copia personale del certificato medico con la diagnosi al datore di lavoro. Anche se il capo insiste, anche se vi fa sentire in colpa, anche se minaccia conseguenze: quella copia con la diagnosi dettagliata è vostra e solo vostra. L’azienda ha già accesso a tutte le informazioni che le servono attraverso i canali ufficiali, ossia la prognosi e la durata dell’assenza tramite il sistema telematico dell’INPS.
Tutela della privacy del lavoratore in malattia
Conoscere questi meccanismi non è pedanteria burocratica o fissazione legalistica. Si tratta di tutelare la propria dignità professionale e personale. Un lavoratore che soffre di patologie particolari, magari croniche o considerate delicate, ha il diritto di mantenere la riservatezza su questi aspetti della propria vita. Le discriminazioni sul lavoro basate sullo stato di salute esistono ancora, purtroppo, e possono manifestarsi in forme sottili: dalla mancata promozione alla marginalizzazione professionale, fino a vere e proprie pressioni per indurre le dimissioni.
Ecco perché il legislatore ha costruito questo muro di protezione attorno ai vostri dati sanitari. Tutto questo impianto di tutele esiste per un motivo fondamentale: proteggere la vostra sfera privata e impedire discriminazioni basate sulle vostre condizioni di salute. La prossima volta che vi trovate in malattia, ricordate: il vostro capo ha bisogno di sapere quando tornerete, non cosa avete. E se insiste, non è nell’interesse dell’azienda ma è semplicemente curiosità fuori luogo o, peggio, un tentativo di violare i vostri diritti fondamentali. Conoscere le regole del gioco vi rende lavoratori più consapevoli e più difficili da manipolare.
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